Essere universitari oggi. La sfida di un ragazzo del Sud


Di Mario Bongiovanni



Palermo, con il suo caldo ottobre, sembra non svegliarsi dall’estate appena trascorsa. La città, capitale del Mediterraneo, accoglie ogni giorno i suoi studenti universitari.

Tra una “abbanniata” di Ballarò, storico mercato, e la sirena di un’ambulanza, diretta al Pronto Soccorso del cittadino Policlinico, Vittorio, studente del sesto anno di Medicina e Chirurgia, si dirige verso l’aula Maneschi di Ginecologia. Oggi, stranamente, non sembra andare di corsa, sarà per l’abbondante anticipo rispetto all’inizio delle lezioni, sarà perché sommerso dai suoi pensieri. Gli stessi pensieri di ogni studente universitario di quell’età. C’è chi pensa a vivere giorno dopo giorno, ci si proietta tra dieci anni professionista della salute, come nel caso di Vittorio. Non è facile immaginare il proprio futuro per uno studente del profondo Sud o del Nord della vicina Africa. Vi chiedete il perché. Beh, fate bene!

Questa storia è intrisa di quella “sicilitudine” che è difficile capire per i non isolani. Palermo, la Sicilia, Vittorio vivono “annacandosi”, cioè con un continuo movimento, se non angosciante senso di movimento, un avanti e indietro, a destra e a sinistra, ma alla fine, come capirete, il movimento è solo illusorio, non palpabile. Un po’ un’applicazione alla fisica del gattopardiano “tutto cambia per restare uguale”.

Vittorio, ad una prima ricognizione, sembra essere libero da questa “similitudine”, però, quando immagina il suo futuro, lavorativo e non, in una città europea, ecco un atavico attacco di nostalgia che lega ogni siciliano alla sua terra. Terra dai mille paradossi, dai mille contrasti, tra il bene e il male, tra la bellezza e la bruttezza, tra il passato e il futuro.


Eccolo Vittorio, si è seduto accanto a me, scambiamo due parole tra colleghi, il suo racconto, il suo vivere è quello mio e di tanti ragazzi in un collettivo presente di lotta.

Foto: Secolo d'Italia

Con la collaborazione di  Chiara Sabatino e Angelo Casano

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